venerdì 25 febbraio 2011

T.I.C. - 2a parte

Oltre all’inavvicinabile primato mondiale di esecuzioni capitali (nemmeno mettendo insieme Iran, Arabia Saudita, Stati Uniti, Giappone, Singapore e Malaysia si riesce ad assommare una frazione dei morti legalmente ammazzati in Cina), un altro peculiare record è la vastità della gamma di reati per i quali si può (non è obbligatorio, come per i reati di spaccio di droga a Singapore, perché in fondo tutto – o quasi – in Cina è negoziabile) essere passati per le armi. A proposito. Ci sono due grandi fissazioni qui. Le armi. E i soldi. Ma non nel senso americano. Al contrario. Le armi – quelle da fuoco – sono proibitissime. Guai anche solo immaginare di possederne una. Se un furfante riesce a rubare una pistola ad un poliziotto, i colleghi sono capaci di braccarlo per dieci anni, per recuperare il maltolto. Con le tensioni sociali, razziali e religiose del paese più popoloso al mondo, con più di 50 lingue e gruppi etnici, il ventaglio di tutte le maggiori religioni più o meno rappresentate (ma sempre previa approvazione e imprimatur del governo centrale), ricchi miliardari in dollari e poveri che ne racimolano magari 300 all’anno, l’ultima cosa che vuole Pechino è un popolo armato con qualcosa di più pericoloso dei bastoncini per mangiare il riso o della mannaietta da cucina per tritare l’onnipresente coriandolo.

I soldi. Guai a mettere in crisi il sistema economico più dinamico del pianeta, permettendo a chicchessia di falsificare il massimo taglio, cento yuan, dodici euro. La recente invasione di banconote false scatena cacce serrate agli importatori. Si vocifera che arrivino nottetempo su barche e pescherecci di bandiera Taiwanese. Si cercano i sofisticati falsari. I fogli sono talmente ben imitati che ingannano anche i bancari. Si seguono piste a Hong Kong, a Taiwan, altrove. Non meglio specificato, anche se il pensiero corre rapido alla Corea del Nord, da molto sospettata di essere una centrale di produzione di numismatica d’imitazione. E non solo per gli irrisori biglietti da cento renminbi (la moneta del popolo), che quasi quasi costa più farli di quello che valgono. Morale? Si guarda all’estero perché nessuno in Cina si azzarderebbe a produrre in loco. Ecco l’unica industria che fa outsourcing, invece di aprire fabbriche (seppur clandestine) qui. Perché? Semplice. Anche per i falsari di banconote c’è la pena capitale. Pecunia olet. Se è falsa, di morte. T.I.C.

Gli Oasis dovevano tenere due concerti a Shanghai e a Pechino all’inizio di aprile. A prevendita iniziata le tappe cinesi del tour asiatico sono state improvvisamente cancellate. Problemi finanziari non meglio specificati accaduti ad uno degli organizzatori del tour, racconta oggi lo Shanghai Daily. Ma certo. La stampa internazionale la racconta così, invece. Nel 1997 uno dei componenti della band aveva partecipato ad un concerto di supporto alla causa del Tibet, negli Stati Uniti. I cinesi hanno una memoria da elefante, e ci sono cose che non perdonano nemmeno dovesse passare una generazione. O dieci. Non hanno fretta. Dicono loro, siediti sulla sponda del fiume, vedrai passare il cadavere del tuo nemico. Molti in occidente si meravigliano che “dopo ben dodici anni” ai cinesi (dirigenti di partito) non gli sia ancora passata di mente questa storia. Poi da noi c’è gente che ancora si ammazza per faide iniziate 5 generazioni fa, quando magari non c’erano la luce e le automobili, ma le lupare c’erano già. La buona notizia? Qualche anno fa non avrebbero mai permesso ad un lettore di commentare una notizia online, smentendo la versione ufficiale. Una che si firma Joan racconta la storia del concerto pro-Tibet. Il giornale (non so se è un caso…) scrive in caratteri rossi sotto la replica della lettrice: i commenti rappresentano solo il punto di vista dei lettori. T.I.C.

I cinesi sono testardi. Centocinquanta anni fa gli eserciti francese e inglese hanno saccheggiato i giardini imperiali pechinesi di Yuanmingyuan, durante la guerra dell’oppio. Non gli è ancora andata giù. La recente battuta all’asta di due fontane bronzee della dinastia Qing, le teste di un topo e di un coniglio, appartenenti ad una serie di dodici, il serraglio dello zodiaco cinese, effettuata da Christie’s a Parigi assume contorni da giallo comico alla ispettore Clouseau. I portavoce governativi hanno perfino chiamato in causa, come testimone autorevole e straordinario dell’infamia subita, nientepopodimeno che Victor Hugo (pare abbia detto: la storia dirà che ci sono due fuorilegge, la Francia ed il Regno Unito. Spero verrà il giorno in cui la Francia restituirà questo bottino ad una Cina depredata. Sarà vero? Ci sono dei bisnipoti del povero Victor che possono confermare o smentire quanto attribuito all’avolo?). Insomma, braccio di ferro, è roba nostra, restituitecela. No, è roba nostra, la battiamo all’asta e ce ne impipiamo che la vogliate. Se la volete, ricompratevela. Accontentati. La mega offerta da 15 milioni di euro a testa (il topo più caro della storia!) si rivela una bufala. Un cinese, autonominatosi “un patriota”, ha sparato talmente alto che nessuno ha osato rilanciare. Ma naturalmente non ha intenzione di pagare tutti quei soldi. Proprietario di una casa d’aste di Xiamen, già noto nell’ambiente, ha avuto facile accesso alle offerte. Qualsiasi cinese avrebbe agito come me, ha continuato nel suo impeto di capopopolo. Ho solo adempiuto alle mie responsabilità. Molta retorica di vecchio stampo. E molto prudente pragmatismo da parte dell’apparato. Forse il signor Cao si sarebbe aspettato un bravo da Pechino, una medaglia di eroe dell’antiquariato appuntata sul petto, magari il suo nome a fregiare la facciata di un museo d’arte. Tutto invece tace sul fronte orientale. Forse timorose di dover veramente cacciar fuori tutto quel cospicuo mazzo di milioni di euro (31,5 per l’esattezza), le fonti ufficiali non si sbilanciano, e lasciano parlare i professionisti dell’incanto, alcuni dei quali supportano la scelta emozionale di Cao, mentre altri non condividono il suo comportamento. Anche perché se non si arriverà ad un onorevole compromesso, scaduti i termini Christie’s disporrà di nuovo dei pezzi battuti, e potrebbe presentare al signor Cao un conticino di puri diritti d’asta da 7 milioni di Euro. Non male per un beau geste. T.I.C.

Prima pubblicazione : 4 marzo 2009

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