martedì 11 gennaio 2011

La scatola d’oro

Era passato molto tempo da quando Jack aveva visto l’ultima volta il vecchio. L’università; le ragazze; poi il lavoro. Tutto si era frapposto tra lui e il suo passato. Jack inseguiva i suoi sogni, spostandosi da un posto all’altro.

Preso dall’affannoso stile di vita dell’uomo in carriera, Jack non trovava un momento per ripensare ai tempi andati. E talvolta nemmeno per occuparsi della moglie e del figlio. Faceva progetti per il futuro, nulla sembrava poterlo fermare.

Una telefonata dalla madre: l’altra notte è morto il signor Belser. Il funerale è mercoledì. Improvvise, nella sua mente riapparvero immagini del passato. Ripensò ai tempi della fanciullezza e una calma innaturale lo attraversò.

Jack, mi senti?, disse la madre.

Sì, mamma. Ho capito. È passato tanto tempo… anzi, ti dirò, credevo fosse già morto qualche anno fa.

Sai, lui non ti aveva dimenticato. Spesso mi chiedeva di te, di come ti andava la vita. E rievocava i giorni che trascorrevi ‘dalla sua parte della staccionata’, come diceva lui, aggiunse la madre.

Mi piaceva quella vecchia casa dove viveva, replicò Jack.

Sai, Jack, dopo che tuo padre morì, il signor Belser si preoccupò di offrirti una figura paterna, perché tu non crescessi senza.

È lui che mi ha insegnato il mestiere, – Jack concordò – senza di lui non sarei quello che sono. Passò tanto di quel tempo a spiegarmi cose che lui riteneva importanti... mamma, ho deciso: vengo al funerale.

Nonostante gli impegni, tenne fede alla sua parola. Il funerale del signor Belser fu modesto e senza gran seguito. Non aveva figli, e quasi tutti i suoi parenti se n’erano già andati.

La sera prima di ripartire, Jack e la madre decisero di fare un’ultima visita alla casa del vicino.

Fermo sulla porta, Jack si sentì trasportato in una dimensione differente: un salto spazio-temporale. La casa era uguale a come se la ricordava. Tutto gli faceva riaffiorare dei ricordi. Le foto, i mobili... Jack si arrestò d’improvviso.

Cosa c’è, Jack?, domandò apprensiva la madre.

La scatola. Non c’è più.

Che scatola?, chiese la madre.

C’era una piccola scatola dorata che teneva sulla sua scrivania. Gli avrò chiesto mille volte che cosa ci fosse dentro. E mi rispondeva invariabilmente, la cosa che ho più cara.

La scatola era scomparsa. Tutto il resto era esattamente come Jack lo ricordava, tranne quel piccolo scrigno. Jack pensò: forse l’aveva preso qualche parente del signor Belser.

Ora non saprò mai che cosa era così importante per lui, si lamentò Jack. Meglio andare a dormire. Domattina ho il volo presto.

Due settimane dopo il funerale Jack, tornando a casa, trovò un messaggio nella posta. Un collo da consegnare, nessuno a casa. Si prega di passare dall’ufficio postale entro tre giorni.

Diretto al lavoro, il giorno dopo, per prima cosa Jack andò a ritirare il pacco. L’imballo sapeva di vecchio, la scrittura era incerta e difficile da leggere, ma il nome del mittente lo emozionò: Harold Belser. Jack non seppe aspettare. Appena in macchina, aprì il pacchetto, trovando una busta e la scatola dorata.

Le mani tremanti, Jack lesse il messaggio: alla mia morte, fate avere questa scatola a Jack Bennet. È la cosa che ho avuto più cara nella mia vita. Una chiavina era attaccata alla lettera. Il cuore di Jack pulsava rapido, le lacrime difficili da trattenere: trepidante, aprì con cautela la scatola dorata. Dentro c’era un orologio d’oro da taschino.

Accarezzando lentamente la cassa finemente cesellata, fece scattare il meccanismo di apertura. All’interno del coperchio vi erano incise queste parole: Jack, grazie per il tuo tempo. Harold Belser.

La cosa che gli era più cara era… il mio tempo!

Jack rimase meditabondo per qualche minuto, tra le mani caute il prezioso dono. Poi chiamò l’ufficio e cancellò tutti gli appuntamenti dei due giorni a venire. Perché?, chiese Janet, la sua assistente.

Ho bisogno di un po’ di tempo per stare con mio figlio, disse Jack. Ah, a proposito, Janet: grazie per il tuo tempo!


La vita non si misura dal numero di respiri, ma dai momenti che ti tolgono il respiro.

2 commenti:

  1. Io avrei preferito distruggere l'orologio d'oro piuttosto che offrirlo a Jack Bennett.
    Un farabutto secondo me. Ecco un uomo, Harold Belser, che si era preoccupato di offrirgli una figura paterna, gli aveva insegnato il suo mestiere. Senza di lui non sarei quello che sono dice l'ipocrita....allora, non si capisce bene perché questo Bennett non ha mai preso notizie di Harold Belser a tale punto che credeva che fosse già morto qualche anno fa....
    Le lacrime difficile da trattenere non ci credo un attimo o allora si tratta di lacrime di dispetto perché Bennett aspettava addirittura la casa. Lo dice nel testo : "Mi piaceva quella vecchia casa dove viveva..."
    Il testo in inglese non è tanto chiaro. Secondo me la cosa più cara per Belser era l'orologio non il tempo. Bennett fa confusione quando dice "The thing he valued most was... my time". Ovviamente, è solo la mia interpretazione....
    Alex

    RispondiElimina
  2. Punti di vista, Alex. Punti di vista.

    Come dice il mio consigliere spirituale, we agree to disagree in an agreeable way.

    Non sempre si può (nè si deve) essere d'accordo. Tu la vedi così. Io vedo un tardivo pentimento, pur tardivo ma sempre utile. Le lezioni talvolta si imparano the hard way.

    C'è uno scopo in ogni accadimento, se uno sa trarne una lezione. Anche una morte può rendere un uomo migliore. L'insensibilità, l'indifferenza si curano.

    Basta che ci sia una base. Su un terreno arido non cresce nemmeno un filo d'erba.

    Grazie della visita e del commento, a presto,
    HP

    RispondiElimina